I tre giorni della settima edizione della Vetrina di Firenze sono stati una delle più importanti occasioni di incontro e di confronto, di scambio e di conoscenza personale tra attivisti e frequentatori (una volta si sarebbe detto militanti e simpatizzanti) dell’arcipelago anarchico specifico e di quello libertario più sfumato. Le dimensioni dell’appuntamento, alquanto rare in ambito antiautoritario, sono ricordate nell’intervista, che qui pubblichiamo, di Alberto Ciampi, uno dei promotori storici. Il clima fraterno fra le molte centinaia di persone presenti - che si respirava nel grande salone centrale e nei luoghi delle mostre, dei laboratori e delle presentazioni - è stato uno degli aspetti più positivi in quanto la partecipazione era davvero aperta ad ogni tendenza (e non sono poche o facilmente conciliabili) di un movimento che fa del pluralismo e della sperimentazione due bandiere da non abbassare mai.
Ogni editore e ogni distributore di libri, opuscoli, giornali ha più volte ringraziato i compagni e le compagne fiorentine per la generosità e l’impegno profusi nella lunga preparazione e nel complesso svolgimento di questa vera e propria Vetrina. L’etichetta non è per nulla casuale e mostra come si sia voluto superare la solita fiera per dare più visibilità ad ogni partecipante: si mostrava l’attività culturale più varia e si era “mostrati” al di qua e al di là del vetro del tutto immaginario, ma con una trasparenza reale.
Nel testo che segue abbiamo cercato di riprodurre i contenuti essenziali di alcune presentazioni di libri usciti da poco (quelle che abbiamo seguito di più tra le 33 effettuate) senza la minima pretesa di riprodurre l’essenza del confronto sulle recenti pubblicazioni. Poi si è seguito l’evento forse centrale: un importante dibattito di tipo politico-antipolitico sul significato e le possibilità dell’iniziativa anarchica oggi. Inoltre abbiamo voluto ricordare la sfida della rete di biblioteche e centri culturali che è mantenuta in piedi grazie allo sforzo di decine di compagni in molte parti d’Europa.
Speriamo di aver dato un contributo all’illustrazione parziale di questa edizione stimolante e pluralista com’è nel progetto collettivo partito più di dieci anni fa.
Antonio Senta e Claudio Venza
Conversando con Alberto Ciampi*
La Settima Vetrina ha seguito lo stesso impianto collaudato a partire dal 2003 e cioè il rispetto dei vari gruppi e individualità e la valorizzazione dei lavori nuovi, appena usciti o realizzati. Insomma, dal 2 al 4 ottobre, si è voluto “dare il pane caldo” ai partecipanti.
Ora le adesioni sono aumentate e siamo a 86. Si sono svolte 10 mostre dei tipi più diversi, 5 laboratori permanenti, per ragazzi e non solo, con lavori sull’oggetto libro e sullo strumento cartaceo, 24 appuntamenti di musica, teatro, video e dibattiti. Inoltre si sono presentati 33 libri di recente pubblicazione.
L’Ateneo Libertario Fiorentino, l’organizzazione che ha promosso anche questo incontro, è sorto dalla fusione del precedente Collettivo Libertario con attivisti dell’USI oltre che con singole individualità. In genere, cerchiamo di tenere aperta la porta ad altri contributi, anche circoscritti, di chi ha delle simpatie parziali e magari qualche difficoltà nello svolgere un’attività costante e, in fin dei conti, abbastanza gravosa.
Nella preparazione della Settima Vetrina, che è durata circa 20 mesi, si è valutato come centrale il ruolo di finanziamento proveniente da una cucina di qualità e a prezzi accessibili. Non ci sbagliavamo: dalla vendita del cibo si è ricavato il 70% del totale delle entrate che hanno coperto le ingenti spese sostenute (circa 15.000 euro). Restando al significativo aspetto economico abbiamo rilevato, con una certa mestizia ma pure con il dovuto realismo, che l’importo proveniente dalle vendite complessive di libri e pubblicazioni si è aggirato attorno al 30%. Nella prima edizione di 12 anni fa le percentuali erano invertite: 70% dalla distribuzione libri e 30% da cibo e altro. Ad ogni modo si ricordi che l’apporto degli editori continua a fondarsi su una “tassa” media, liberamente assunta, di un quarto dei loro incassi.
Gestendo un punto strategico, il bancone all’entrata dell’edificio, peraltro molto capiente dell’Obihall, ho rilevato con gli altri qui presenti che non sono mancati i visitatori esterni al movimento, giustamente curiosi di cosa avesse prodotto l’anarchismo italiano ed europeo. Essi hanno potuto verificare, al di là del vetro immaginario che dà il nome alla Vetrina, le varie versioni delle analisi e dell’attività del movimento. Pur avendo aspirazioni che superano gli angusti ambiti locali occorre riflettere sul fatto che questa “impresa” si è realizzata grazie al radicamento nella regione toscana. Qui, a differenza che in altri territori, l’anarchismo ha pieno diritto di cittadinanza e i pregiudizi negativi sono assai ristretti. Ciò grazie, oltre alla indubbiamente forte presenza storica, anche ad un lavoro costante di questi anni, un impegno collettivo che è partito dalla convergenza di militanti di antica data e di quelli più giovani.
Per dare un’idea dell’ambiente nel quale ci muoviamo, diciamo che le presenze alle cene di autofinanziamento sono di poco inferiori al centinaio e che su una metà di questi sottoscrittori si può contare per far fronte alle emergenze organizzative. A dire il vero, vi è stato solo un limitato passaggio generazionale e il peso maggiore dell’iniziativa è ancora sostenuto da compagni formati negli anni Settanta e Ottanta.
Personalmente devo constatare, con rammarico, la riduzione dell’interesse per l’oggetto libro a favore dell’uso delle fonti, apparentemente infinite, fornite da internet. Devo però aggiungere che non sono assolutamente convinto della solidità delle informazioni culturali prese da Internet sia per una frequente approssimazione e superficialità sia perché esse dipendono, oltre a tutto, da un fattore tecnico assai precario. Si pensi che l’assenza di corrente elettrica rischia, da un momento all’altro, di vanificare un lavoro di anni.
Quasi a conclusione di questa descrizione dell’esperienza, su cui sarebbe importante sentire altri pareri dagli organizzatori, della Vetrina appena terminata, ribadisco la mia convinzione che “il tempo farà giustizia” di una cattiva formazione, quella che si centri troppo su mezzi sfuggenti e ingannatori quali quelli elettronici. Il futuro darà ragione a chi è restato “fedele al fascino della carta stampata”.
*Alberto Ciampi è architetto. E’ responsabile del Centro studi storici della Val di Pesa, componente del Comitato scientifico dell’Archivio Famiglia Berneri-Aurelio Chessa di Reggio Emilia e redattore di “ApArte. Materiali irregolari di cultura libertaria”: Insieme a Stefania Mori è uno dei promotori storici delle Vetrine sin dalla prima edizione del 2003.
Alcuni resoconti di presentazioni di libri.
David Bernardini, Contro le ombre della notte. Storia e pensiero dell’anarchico Rudolf Rocker, ZiC, 2014.
Introdotto da Massimo Varengo di Zero in Condotta, David Bernardini con uno scoppiettante intervento ha saputo mettere in evidenza l’importanza e le diverse sfaccettature della militanza e del pensiero di Rudolf Rocker, variamente interpretato negli anni – dentro e fuori d’Italia – in senso anarcosindacalista, rivoluzionario “puro” o tendente al liberalismo. Lo studio biografico è qui un prisma attraverso cui studiare il movimento anarchico novecentesco. Inizialmente socialista, poi anarchico, espulso dalla Francia e dalla Germania, si stabilisce per due decenni in Inghilterra da dove dispiega la sua influenza sul movimento ebreo libertario di lingua yiddish. Sempre al fianco della compagna, e anarchica, Milly Witkop, il suo ruolo è fondamentale nelle lotte operaie europee del 1910-1914 e allo scoppio della guerra è rinchiuso in carcere per il suo antinterventismo. Rilasciato nel 1918, è tra i fondatori della FAUD, organizzazione anarcosindacalista che raggiunge 120-150mila iscritti nel 1919, per decadere a 7mila nel 1932. Con l’avvento di Hitler, dopo avere pubblicamente sconfessato il gesto di Marinus van der Lubbe (il consiliarista olandese che tentò di appiccare il fuoco al Reichstag in un estremo tentativo di protesta antinazista), si rifugia negli Stati Uniti, partecipa come pubblicista alla guerra civile spagnola. Nel 1941 si schiera contro il nazionalsocialismo e a favore di un intervento militare alleato, visto come il male minore con cui giocoforza fare i conti: posizione, questa, condivisa solo da alcuni libertari e che scatena forti polemiche soprattutto negli Stati Uniti a opera dei circoli vicini al periodico “L’Adunata dei Refrattari”. Il pensiero di Rocker dal secondo dopoguerra è stato diffuso in Italia anche grazie all’opera di militanti come Ugo Fedeli e Valerio Isca, e, successivamente, agli sforzi delle edizioni Anarchismo (che nel 1977 ha pubblicato in due volumi una delle sue opere fondamentali, Nazionalismo e cultura). A questo intellettuale militante si deve un tentativo di elaborare uno sguardo libertario sul mondo, una chiave di lettura in grado di mettere in discussione alcuni paradigmi assunti dal movimento operaio (tra cui il materialismo storico, contestato in nome dell’imprevedibilità della storia) e di combinare i classici principi dell’anarchismo con il nuovo anarchismo tedesco influenzato dal pensiero di GusTAV Landauer.
Leonard Schäfer, Contro Hitler. Gli anarchici e la resistenza tedesca dimenticata, ZiC, 2015
Anarchici e libertari in senso lato, ma anche comunisti eretici e consiliaristi sono i protagonisti della opposizione sociale e politica tedesca dimenticata, evocata nel sottotitolo del libro. Nel corso della presentazione è stato dato conto dell’attività sindacale degli anarchici prima dell’avvento di Hitler e dell’influenza libertaria nelle Camere del Lavoro, della capacità di organizzare particolari settori lavorativi e categorie come i giovani e le donne in apposite Leghe, e di considerare il fascismo nella versione tedesca come il primo obiettivo da combattere sin dal 1923, subito dopo la marcia su Roma. Un’attività di resistenza iniziata giocoforza già dal 1930 contro una Repubblica di Weimar che si configura da subito come un governo reazionario, chiudendo giornali e pubblicazioni periodiche. Tre sono le figure principali di un movimento che dal 1932 decide di entrare in clandestinità: il già citato Rudolf Rocker, Erich Müsham (al quale Schäfer ha dedicato alcuni studi specifici) e Augustin Souchy. Quella degli anni successivi è una lotta difficile e minoritaria, segnata dalle persecuzioni giudiziarie (come nel caso di un processo del 1936 contro un gruppo anarchico accusato di alto tradimento), ma nondimeno esistente e coraggiosa e della quale l’autore ha il merito di dare finalmente conto.
Claudio Strambi, L’inquieta attitudine. Camillo Berneri e la vicenda politica dell’anarchismo in Italia. Primo libretto, ed. Kronstadt, 2015
Continua il grande interesse per il pensiero di Berneri, oggetto di numerosi studi negli ultimi venti anni. Un Berneri interpretato nei modi più vari, a seconda di chi ne scrive. È il risultato questo delle stesse riflessioni berneriane, inquiete certo ed eclettiche fino ad apparire a volte contraddittorie. Quel che Strambi intende (meritoriamente) fare con il primo di una serie di libretti non è però quella di fornire una particolare, e propria, interpretazione delle riflessioni di Berneri. L’obbiettivo è piuttosto di restituire il pensiero e l’azione di Berneri entro il contesto del movimento anarchico per metterne in evidenza le discussioni e le direttrici di pensiero, nella giusta convinzione che le elaborazioni di Camillo non siano solitarie, ma immerse nel dibattito dell’epoca dentro e fuori l’anarchismo: ad esempio la polemica aspra sulla “dittatura del proletariato” la cui necessità, o ineludibilità, fu rivendicata negli anni del Biennio Rosso anche da parte di qualche anarchico.
Antonio Senta, Utopia e azione. Per una storia dell’anarchismo in Italia 1848-1948 , Elèuthera 2015.
Un’affollata presentazione in cui ha preso la parola per primo Gianfranco Ragona, ricercatore all’università di Torino e già autore di studi sul pensiero di GusTAV Landauer e dell’ottima opera di sintesi Anarchismo. Le idee e il movimento (Laterza 2013), che in maniera pregevole ha delimitato alcune questioni di fondo. Si tratta – ha affermato – di uno di quei testi utili per dare vita a una scuola, o università, “altra”, uno strumento per un’autoformazione eretica, scientifica e militante al tempo stesso. Il termine cronologico di partenza, 1848, è originale e pienamente giustificato da un anno, il ’48 appunto, che segna l’entrata dei popoli nella storia e dischiude la via a una critica della questione sociale su cui si innesterà l’anarchismo. Il punto finale è il 1984, visto come la fine del lungo ’68 italiano, e insieme, il titolo della distopia di George Orwell, che sembra davvero caratterizzare gli ultimi trenta anni.
In questa pregevole opera di sintesi, come l’ha definita Claudio Venza, trova voce la molteplicità dell’anarchismo italiano, nella sua triplice accezione politica, etica e sociale. Proprio sul termine “politica” si è aperta una riflessione, con Ragona che ha messo in evidenza come il movimento anarchico non sia stato in grado di risolvere il rapporto tra politica e antipolitica. Un’opposizione alla politica, da intendersi come sinonimo di governo e di autorità, difesa invece dall’autore, che ha rivendicato come fattore positivo il carattere sociale, etico e antipolitico dell’anarchismo, quale risulta dallo studio della sua parabola storica e, insieme, come base ineludibile su cui poggiare la propria azione odierna.
Rete delle Biblioteche Anarchiche e Libertarie (REBAL). Presentazione del progetto e della sua fase di realizzazione
REBAL è una rete di collaborazione tra biblioteche, archivi e centri di documentazione attivi sul territorio italiano ed estero. Il suo principale strumento è un catalogo collettivo raggiungibile all’indirizzo http://www.REBAL.info che permette di interrogare contemporaneamente i diversi OPAC (Online Public Access Catalog) dei vari centri, come se l’utente avesse a che fare con un unico catalogo. Questa caratteristica assai positiva è stata mostrata, con un video, nella manifestazione fiorentina. Il progetto REBAL, nato negli ultimi anni, intende rafforzare i rapporti tra archivi e facilitare l’accesso pubblico al ricco patrimonio culturale libertario con la consapevolezza che una più larga circolazione culturale, storica e attuale, possa essere un veicolo di trasformazione sociale e di ulteriore diffusione di principi e pratiche antiautoritarie. Tutto ciò per far fronte ai processi di devastazione statali e capitalisti che procedono in maniera sempre più rapida.
Molti delle biblioteche e degli archivi che partecipano a REBAL sono aderenti della FICEDL (Fédération Internationale des Centres d’Etudes et de Documentation Libertaires) nata a Marsiglia nel 1979: da qui l’intenzione, espressa dai curatori del progetto, di ospitare nuovamente l’incontro dell’anno prossimo della Fédération proprio in Italia.
Dibattito promosso dall’Ateneo Libertario di Firenze e dalle Edizioni Elèuthera su Autogestione e movimenti, con Saul Newman, Tomás Ibáñez, Salvo Vaccaro, Pippo Gurrieri e Maria Matteo.
Si è trattato di un confronto particolarmente interessante. I primi tre oratori hanno dato conto di alcune riflessioni edite da Eleuthera (cfr. tra gli altri S. Newman, Fantasie rivoluzionarie e zone autonome. Post-anarchismo e spazio politico; Tomás Ibáñez, Anarchismo in movimento; Salvo Vaccaro, Pensare altrimenti. Anarchismo e filosofia radicale del Novecento e Agire altrimenti. Anarchismo e movimenti radicali nel XXI secolo). Gli ultimi due intervenuti hanno considerato rispettivamente la lotta contro il MUOS, della quale i lettori di Sicilia Libertaria e Umanità Nova dovrebbero essere debitamente informati, e di quella contro il TAV che ha spesso riempito le pagine del settimanale anarchico negli ultimi dieci anni. Pur senza alcuna novità particolare, gli interventi e il dibattito sono stati assai stimolanti. Newman, tradotto da Stefano Boni, ha ribadito la necessità di liberarsi dal concetto di Rivoluzione intesa quale tappa ultima dell’agire anarchico, rivendicando invece un agire rivoluzionario del “qui e ora” intesa come necessaria resistenza alle molteplici, e riproducibili, forme che assumono le relazioni di potere. Ancora una volta sono le intuizioni di De La Boétie e di Foucault a essere fatte proprie e a venir estese. L’anarchia stessa non sarebbe quindi punto di arrivo, ma punto di partenza, metodo: forma ideologica non vincolante, caratterizzata da relazioni di non-potere. Questo è ciò che Newman intende per post-anarchismo.
Tomás Ibáñez tradotto da un altro compagno già attivo nella lotta antifranchista e nella ricostruzione della CNT, Giampaolo Biagioni, ha acutamente delineato le caratteristiche del mondo contemporaneo, non solo “liquido”, secondo le indicazioni di Zygmunt Bauman, ma anche “rapido”. Viviamo, in sostanza, in un torrente contro cui l’antagonismo ha provato a fare i conti negli ultimi decenni: nel maggio ’68, nel Chiapas del 1994, a Seattle nel 1999. Nel corso dei decenni si sono sviluppate forme non istituzionalizzate di contestazione e alternativa reale al sistema (vedi il proliferare attuale di forme di economia solidale), costituito da un mix di anarchismo e post-strutturalismo. Movimenti che hanno fatto proprio alcuni principi base dell’anarchismo – la critica della rappresentatività, l’orizzontalità nel funzionamento interno, il ricorso all’azione diretta –, che mettono in pratica temi quali l’autogestione e l’autonomia. Si mostra così un importante carattere prefigurativo del mondo liberato, si concretizzano le trasformazioni oggi senza rimandarle all’indomani, vivendo la rivoluzione nel presente e tentando l’impresa improba di unire la politica all’etica. Il sistema neoliberista contemporaneo però cerca continuamente di sussumere, o recuperare, queste istanze di autogestione strumentalizzando così lo stesso concetto di libertà, che non è più la libertà anarchica, intrinsecamente legata al concetto di uguaglianza, ma unicamente la libertà del consumo. Infine, ha concluso Ibáñez, contro un sistema nel quale i parlamenti e i governi hanno sempre meno voce in capitolo, bisogna provare a reinventare obiettivi e forme della contestazione: in questo senso utili sono, malgrado tutto, le indicazioni del discutibile Comitato Invisibile (autore di L’insurrezione che viene, Porfido, 2010) che indica nelle infrastrutture e nei nodi di comunicazione e scambio di merci l’odierno punto debole del sistema capitalista.
Salvo Vaccaro ha provato a fare da trait d’union tra queste riflessioni teoriche e le lotte reali, delineando un panorama contemporaneo ricchissimo di movimenti antagonisti e insieme di una governance globale sempre più oppressiva. La governamentalità neoliberale ha portato alla fine della politica intesa come “senso civico che ci lega insieme”. Mentre Salvo parlava, chi ascoltava (e scrive ora queste righe) pensava invece che il contesto contemporaneo ci dimostra con chiarezza che la politica non è altro che la sublimazione della governamentalità neoliberale. Sia come sia, è indubbio che quest’ultima è subita dagli oppressi in maniera essenzialmente individuale in quanto pare che il potere sia riuscito a rompere quella dimensione collettiva capace, in alcune epoche, di declinare la politica come attività non separata dalla società.
Maria Matteo ha riportato la questione rivoluzionaria come punto irrinunciabile dell’agenda anarchica. Rivoluzione non come evento catartico né determinante una volta per tutte (e in questo ha fatto proprie le indicazioni diffuse nel movimento e a cui Ibáñez dà voce da decenni), ma come processo di trasformazione radicale dei rapporti sociali: ha brillantemente addotto gli esempi del Rojava e del confederalismo democratico di stampo bookchiniano e soprattutto della lotta No TAV con i suoi momenti insurrezionali, su tutti il dicembre 2005. Questo tipo di mobilitazioni accelerano e rendono reali relazioni umane e sociali nuove, cioè solidali, orizzontali, “altre” rispetto allo Stato, alle sue polizie e gerarchie. Una rivoluzione è quindi possibile, anzi necessaria e non demandabile a un lontano futuro.
Pippo Gurrieri ha mostrato come nei fatti alcune delle riflessioni post-anarchiche siano messe in pratica, a volte inconsapevolmente dai movimenti stessi, in particolare da quello No MUOS. La scommessa è, evidentemente, quella di dare materialità all’anarchia come metodo e come obiettivo, come mezzo e come fine, questioni cruciali di cui hanno parlato Newman e Ibáñez. Per vincere la difficile sfida è fondamentale il coinvolgimento popolare rifiutando il ruolo di avanguardia politica che ancora condiziona parte dei movimenti nei loro residuali richiami alla post-autonomia e al cosiddetto anarcoinsurrezionalismo, combinando una rivoluzione dei comportamenti, che solo un conflitto reale e agito possono accelerare, con obiettivi alti. In altre parole, l’assemblearismo orizzontale a cui partecipa parte di popolazione, magari acerba di politica, per organizzare il presidio piuttosto che il blocco dei mezzi di polizia ed esercito è carburante prezioso per accendere un immaginario altro, che è, in questo caso, quello di una Sicilia senza più basi né servitù militari, primo passo per fermare le guerre che costellano il pianeta, spargendo terrore e morte in ogni dove.